mercoledì 31 luglio 2013

I veneti vogliono il diritto di difendersi. Per Walter e per tutti.



Da dentro casa Walter spiava oltre le finestre le centinaia e centinaia di persone che sono accorse nel suo paese per dimostrargli la loro vicinanza. Per fargli capire che loro, come tanti altri e diversamente dallo Stato, non lo considerano un criminale. Circa 500 persone, provenienti da ogni città del Veneto: Padova, Verona, Treviso, Venezia. Pochi quelli che si sono fatti fermare dalla pioggia battente che, fino a qualche minuto prima che il corteo iniziasse a sfilare per il centro del comune di Legnaro, cadeva inesorabile. Quasi un segno, che quella manifestazione doveva arrivare al termine. Fiaccole accese, gonfaloni veneti, bandiere della LIFE (Liberi Imprenditori Federalisti Europei), Xoventù indipendentista, qualche esponente di Forza Nuova e della Lega Nord. Ma soprattutto tante, tantissime persone comuni, che lo conoscono e che lo considerano un brav’uomo. C’è chi sapeva di questa manifestazione e si è fatto trovare pronto sul luogo dell’appuntamento. Ma c’è stato anche chi ha aderito all’ultimo minuto, infilandosi nel corteo quando l’ha incrociato. C’erano i bambini, le famiglie, con le fiaccole in mano. Accese, che illuminavano il percorso verso la casa di un uomo reo di aver voluto difendere la sua famiglia.
“Non si tratta solo di Walter, si tratta del nostro diritto di poterci difendere: difendere noi e la nostra famiglia” dice Giacomo Mirto, organizzatore della manifestazione insieme a Carlo Trevisan e Lucio Chiavegato, presidente della LIFE. “E’ stato questo a farci muovere in piazza. Oggi abbiamo manifestato in solidarietà a Walter Onichini, ma domani potrebbe essere per qualcun altro. Noi vogliamo essere liberi di poterci difendere, e questa legge, questo Stato, non ce lo permette” dice Mirto. Lo stesso messaggio riportato sullo striscione che apriva il corteo. Lo stesso che descriveva l’evento su Facebook, che ha raccolto l’adesione di oltre mille persone: “Ad ogni ingiustizia noi ci saremo”. Come una promessa, di chi vuole lottare contro la giustizia italiana. 
Perché il sentimento era anche questo, la rabbia verso questo Stato che non tutela i veneti, ma tutela i clandestini. E le persone in corteo lo gridavano ad alta voce, incuranti degli agenti della polizia presenti per tutelare l’ordine pubblico. Lo hanno fatto soprattutto i ragazzi di Xoventù Indipendentista, un’organizzazione giovanile politica, ma trasversale ai partiti, che si batte per l’indipendenza del Veneto e ancora capace di parlare di comunità e dei suoi valori. “Clandestini e ladri liberi, i nostri veneti condannati”. Ma tanti altri piccoli slogan che danno voce alla frustrazione della gente: “Basta razzismo contro i Veneti” piuttosto che “No al terrorismo tributario”. Per tutti, in due parole: basta Stato, basta Italia. E le bandiere venete, alzate sotto il cielo che si faceva di ora in ora sempre più nero, lo dimostravano. Perché uno Stato che non tutela un cittadino non è il loro Stato. E nemmeno di chi sa di poter essere il prossimo. Perché ieri chi ha reagito a una situazione che non aveva pianificato nella sua vita è Walter Onichini. Ma domani Walter Onichini potrebbe essere ognuno di noi.
di Francesca Carrarini (L'Intraprendente)

Madame Kyenge, il suo problema non è cromatico. È politico.


I veri razzisti non sono i maneggiatori di ortaggi, ma i progressisti che l'hanno fatta ministro per esibire un'icona mediatica e politicamente corretta. La Kyenge, non ha nessuna competenza specifica. Infatti, fa solo retorica. 
I peggiori nemici di madama Kyenge non sono i maneggiatori di ortaggi e i classificatori di specie zoologiche, ma quelli che fingono di esserle amici e che nascondono dietro il paravento appiccicoso del “politicamente corretto” i loro obiettivi di bassa cucina politica. Risulta infatti sempre più evidente che la signora non sia stata messa nella posizione che ricopre per indiscusse competenze tecniche o per speciali qualità culturali. È lì solo perché serve allo stesso tempo: 1- a dimostrare la prodigiosa apertura mentale della coalizione di governo in grado di proiettarsi nel cuore della più progressista multietnicità; 2 – a ricoprire con una immagine “forte” la totale incapacità a risolvere i problemi dell’immigrazione; 3 – a provocare la parte più becera degli avversari sperando in una serie di attacchi sguaiati in grado di attirare la massima attenzione mediatica. L’obiettivo è stato pienamente raggiunto: anche l’Italia può pavoneggiarsi nel mondo esibendo un proprio governante “diverso” e dare così sfogo al proprio inguaribile provincialismo; i problemi dell’invasione e dell’integrazione sono “risolti” promuovendo un immigrato ai piani alti del palazzo, mettendo assieme Cencelli e Benetton; si agita ogni giorno l’indignazione delle anime dabbene stigmatizzando con piglio severo le pirlate di qualche oppositore dal linguaggio colorito e dalle scatole scricchiolanti. Risultato: la banda Letta non combina niente di buono però può impartire lezioncine di bon ton e di correttezza cromatica. Gli sbarchi continuano, i foresti delinquono, l’invasione prosegue massiccia, i disagi per gli indigeni si moltiplicano ma non si può dire nulla sennò la Boldrini fulmina con il suo sguardo da Morticia ringhiante e qualche giudice tira in ballo la legge Mancino: un nome, una garanzia!
Alla fine passa in secondo piano il vero punto della questione: madama Kyenge non è inadeguata perché è nera ma perché non ha nessuna capacità per svolgere il ruolo che le hanno incautamente (o anche troppo cautamente) affidato. Forse è un bravo medico (come dicono essere il Calderoli), ma sicuramente come responsabile dell’immigrazione e dell’integrazione vale una cicca. Come Chance Gardner, non dice niente che non sia scontato, non fa nulla di efficace, non serve se non da paravento alla nullità (assai meno ingenua e sprovveduta) dei suoi colleghi di governo. Sono loro che la “usano”, che le mancano di rispetto, che ne hanno fatto una comoda icona da spupazzare in giro: i veri razzisti sono loro e non chi cazzeggia con i bollini Chiquita! 
Alla festa del Pd di Cantù, la signora ha detto che lo ius soli permetterebbe ai giovani “nuovi italiani” di tesserarsi alle federazioni sportive e a qualcuno anche di giocare in nazionale. Ha toccato la vera essenza del problema e il cuore profondo del sentimento nazionale italiano: il calcio.
di Gilberto Oneto (L'Intraprendente)

 

martedì 30 luglio 2013

Ciambetti: il debito pubblico aumenta mentre Regioni e Comuni spendono sempre meno



Roberto Ciambetti, assessore regionale al Bilancio ed Enti locali del Veneto - “Il debito pubblico   vola a superare la soglia del 130,3%, mentre i tagli imposti al decentramento, dai Comuni alle Regioni, tagli che hanno colpito anche la sanità, sono innegabili: insomma, la spesa del decentramento cala, e cala in maniera vistosa, ma il debito pubblico cresce, e cresce in maniera vistosa, senza che vi sia stata una esplosione dei tassi di interesse tale da giustificare un incremento del fabbisogno statale”.
Roberto Ciambetti commenta in maniera molto preoccupata l’analisi di Eurostat che sottolinea come al primo posto nel rapporto Debito Pubblico/Pil vi sia la Grecia, mentre l’Italia, al secondo posto, distanzia Portogallo e Irlanda. “Ci sono dati da far tremare – spiega Ciambetti - Le banche italiane non finanziano imprese e famiglie perché hanno sostituito gli investitori esteri nella sottoscrizione di Bot e Btp oggi in mano straniera solo per il 39.4 per cento contro il 40,5 per cento del mese di maggio.  Siamo secondi in Europa dopo la Grecia nel rapporto Debito/Pil, ma ad  Atene il Parlamento ha approvato il licenziamento o la messa in cassa integrazione di circa 25 mila dipendenti pubblici:  in Italia ci sono intere Regioni che vivono sul Pubblico Impiego e mi chiedo quanta gente dovremmo licenziare noi se appunto Atene, dopo la dura cura dimagrante degli ultimi due anni, vara un piano di licenziamenti pesantiossimo.  Bruxelles stima un buco imprevisto nei conti ellenici che oscilla tra i 2.8 e i 4.5 miliardi ma la  Süddeutsche Zeitung, invece, parla di circa 10 miliardi in meno;  dalle cronache italiane sono scomparsi velocemente quegli 8 miliardi che, secondo il Financial Times, lo stato ha perso per operazioni sui derivati, 8 miliardi, il doppio dell’ipotetico tagli Imu di cui tanto si parla in questi giorni,  che incombono sui conti pubblici già disastrati in un paese dove la povertà assoluta riguarda circa 4, 814 milioni di abitanti, quasi come l’intera popolazione del Veneto. Dal 2008 in poi la crescita delle spese sostenute dall’Inps per  sussidi e aiuti ai disoccupati  ha avuto un incremento del 108% rispetto ai quattro anni precedenti. Nel 2012 la spesa è aumentata complessivamente del 16,8% rispetto all’anno precedente e questo ci dice che senza lavoro, cioè senza rilancio vero dell’economia vera, quella produttiva,  ci avviteremo in una spirale perversa. La domanda sociale cresce, ma gli enti locali e le Regioni, cioè chi si trova in prima linea per fronteggiare l’emergenza, sono stati disarmati e ciò nonostante il debito pubblico continua a crescere, come una metastasi. Fino ad oggi – prosegue  Ciambetti - lo stato ha colpito, e colpito duramente, il decentramento ma non ha inciso nelle vere centrali di spesa che continuano a moltiplicarsi come se nulla fosse e fanno sì che il debito pubblico vada fuori da ogni controllo. Nel maggio 2007, quando vi fu la staffetta tra Berlusconi e Prodi il rapporto Debito Pubblico/Pil era del 103.3 per cento.  Allorquando le oligarchie internazionali imposero il governatorato di Monti  il rapporto era del 119 per cento salito al 126,5 per cento nel volgere di pochi mesi. Oggi – conclude l’assessore regionale  veneto – dopo manovre e spending review, dopo aver accentrato a Roma le tesorerie di tutti gli enti, tagliato le pensioni, allungarto i tempi del pensionamento,  tagliato i trasferimenti a Comuni e Regioni, il debito sale ancora. Dire che qualcosa a Roma non funzioni è dir poco:  lo stato cicala continua a cantare quando si presenta davanti a noi un settembre sempre più nero e non occorre essere dei guru per capire che sta crescendo una tensione sociale pesantissima, che potrebbe aprire porte a follie, a provocazioni,  a infiltrazioni potenzialmente molto pericolose”
da VicenzaPiù.

Ciambetti. Decreto Province: il Veneto è molto più avanti rispetto a Roma



Roberto Ciambetti, assessore regionale al Bilancio e agli Enti Locali - “Noi siamo più avanti rispetto al provvedimento del Governo sulle Province e gli ambiti di area vasta”: L’assessore regionale agli enti locali del Veneto Roberto Ciambetti non vuole commentare il ddl ‘svuotapoteri’  per le province deciso dal Governo “perché – spiega Ciambetti – prima di commentare bisogna vedere con esattezza la portata del provvedimento: vediamolo alla prova dei fatti perché, per sentito dire,  o dalle indiscrezioni, non si giudica nulla.
Che il governo voglia spronare al massimo l’aggregazione dei Comuni, l’unione tra i centri minori e tra capoluoghi e loro hinterland è fatto scontato; la stessa nuova normativa regionale veneta, che proprio questa settimana ha avuto il voto unanime della competente commissione consigliare regionale, e quindi è in fase molto avanzata,  supera questa impostazione o, meglio, individua, attraverso criteri scientifici e dopo un percorso complesso e articolato,  quelli che noi abbiamo chiamato bacini ottimali per l’aggregazione di funzioni da parte degli enti locali. Rispetto ai ‘desiderata’ governativi il Veneto, con largo anticipo e dopo aver approvato lo scorso anno la legge 18 con la quale abbiamo dato via al processo di aggregazione e accorpamento di uffici e funzioni, sotto la regia regionale fatta dalla nostra Direzione degli Enti locali, cooperando con le Università, centri di ricerca e formazione, strutture altamente qualificate come il Cuoa abbiamo dato vita a un tavolo di lavoro coinvolgendo gli enti locali e siamo arrivati, anche grazie a una piattaforma tecnologica con cui tutti gli attori potevano contribuire e partecipare attivamente ai lavori,  a stendere una legge che è effettivamente all’avanguardia, che anticipa l’area vasta delineata oggi dal governo”.  Grazie alle norme di questa nuova legge ormai in dirittura d’arrivo  il numero degli enti locali in Veneto potrebbe vedere  una drastica diminuzione “esemplificando – ha spiegato l’assessore – lo scenario e determinando una forte riduzione di costi per il cittadino grazie a sinergie di scala, già sperimentate con successo dagli 11 Comuni del Camposanpierese nel padovano che hanno visto  il successo della gestione comune di servizi e uffici.  In questi Comuni, grazie alla gestione associata,  il costo della Pubblica amministrazione locale è inferiore del 38 per cento rispetto al costo medio dei Comuni del Veneto i quali, a loro volta  sono tra i più virtuosi in Italia e già oggi hanno un costo inferiore del 18 per cento alla media nazionale”. L’assessore poi fa una digressione: “Sottolineo l’efficienza di tutti i Comuni veneti anche se il caso del Camposanpierese dimostra che si può sempre migliorare– ha sottolineato Ciambetti – Quando leggiamo nei giornali che le tasse locali sono aumentate a dismisura in questi anni dovremmo anche dire che le imposte locali non sono cresciute tanto quanto sono diminuiti i trasferimenti dello stato mentre a Comuni, ma anche alla Regione, sono aumentate e di molto le competenze, oneri e servizi da garantire. Le realtà istituzionali del Veneto, Province comprese, hanno fatto un buon lavoro e forse per questo oggi sono all’avanguardia e pronte al salto di qualità della riorganizzazione territoriale: la sensibilità degli amministratori locali è un patrimonio straordinario, capace anche di superare le resistenze poste dalla burocrazia locale.  La strada che abbiamo imboccato grazie a questa spinta ideale e grazie anche a stimoli importanti giunti da tutti gli attori sociali  – ha concluso  l’assessore – è nuova  nella metodologia di lavoro, che ha visto assieme strutture di ricerca ed enti locali che hanno dato basi scientifiche e culturali alle esigenze di buon governo. L’esatto contrario della chiacchera: uno dei problemi di questi anni sta nel sentire una babele impressionante di proposte e prese di posizioni, magari fatte sulla base di una perfetta buona fede e all’apparenza anche praticabili, che poi nella prassi si rivelerebbero assurde o di impossibile realizzazione. Mi sembra che il governo nazionale, da quanto leggo nelle prime agenzie, che parlando del mutamento della Provincia,  abbia intrapreso una strada prudenziale che nelle parole di Quagliarello, come dicevo ricalca o ricorda molto i bacini ottimali che caratterizzano la proposta di legge veneta.  Mi chiedete se Riuscirà Letta ad abolire le Province.  Non sono un indovino, ma credo che la domanda sia malposta: posso dire che, rispetto a Monti, ha scelto una strada costituzionalmente corretta e rispettosa.  Forse faremmo meglio, tutti, a chiederci piuttosto  se riusciremo a fare quelle riforme che rispondono alle reali esigenze della società: la riorganizzazione del territorio Veneto, con la nostra legge condivisa da tutti gli attori sociali, è un contributo in questo senso, sia come risultato finale, una razionalizzazione di ampia portata, sia come metodo di lavoro. Insomma, cambiare si può e noi Veneti lo abbiamo dimostrato”.
da VicenzaPiù

No al carcere per il branco che stupra. L'indignazione di Zaia



Regione Veneto - “La misura è colma. La sentenza della Corte costituzionale che arriva a dire no al carcere per la violenza sessuale di gruppo se il caso concreto consente di applicare misure alternative ha qualcosa di incredibile e scandaloso. E’  il frutto malato di un Parlamento che non riesce a legiferare in modo severo, di una politica così distante dalle istanze dei cittadini da non saper più né considerare né rispondere al senso comune”. 
E’ indignato il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia alla notizia che la Corte costituzionale ha detto no al carcere per il ‘branco’ nel caso concreto ci siano possibilità di misure alternative alla detenzione.
“E’ inaccettabile – continua -  perché così di fatto si declassa uno dei reati più indegni e odiosi e che suscita ribrezzo negli uomini per bene, figuriamoci nelle donne. Mi chiedo a che punto si sia arrivati in questo Paese se si tengono più in conto i diritti dei  maschi violenti più che quelli delle donne e della dignità del corpo femminile. Per crimini come questo si deve andare in galera e buttare la chiave per un bel po’ di anni. In questa selva legislativa creata da un Parlamento incapace di dare ai giudici norme chiare e severe, la certezza del diritto diventa sempre più chimera. Una pagina avvilente, da dimenticare presto, da superare presto con nuove soluzioni di legge, nella speranza che per una volta le Camere ascoltino quello che dice la gente comune”.  
da VicenzaPiù

lunedì 29 luglio 2013

TERRORISTI


La procura di Torino accusa di attentato terroristico a fini eversivi i No Tav che si son resi protagonisti di due attacchi alle forze dell'ordine con tanto di pietre, bombe carta e petardi. È proprio la definizione giusta.  
Qualcuno si è perfino azzardato a definirli “partigiani”, ora finalmente li sentiamo chiamare col loro vero nome: terroristi. Attentato per finalità terroristiche o di eversione: è questa l’accusa che la procura di Torino ha rivolto agli esponenti No Tav che, lo scorso 10 luglio, si sono resi responsabili di un pesante attacco alle forze dell’ordine. In quell’occasione una ventina di «terroristi» si era avvicinata, a volto coperto, alle reti lanciando sassi, bombe carta e petardi ad altezza uomo e costringendo le forze dell’ordine a intervenire per respingerli. Modalità di attacco che – secondo i magistrati torinesi – configurerebbero il reato di attentato terroristico condotto a fini eversivi. Le violenze sono poi continuate nella notte fra il 19 e il 20 luglio quando è andata in scena una vera e propria guerriglia: risultato 15 agenti contusi o feriti. Come riporta il quotidiano Lo Spiffero: «Durante le operazioni di bonifica dei boschi successive ai disordini sono stati trovati residui di molotov, grossi petardi, razzi da segnalazione, bulloni, fionde, mazze, un’ascia, maschere antigas, cappucci, caschi, sacchetti di pietre, anche all’interno di zaini, scudi artigianali, abbandonati dagli attivisti durante la fuga». Non proprio oggetti innocui.
In questo caso non si tratta di essere garantisti o meno: le azioni violente compiute sono sotto gli occhi di tutti. Eppure ci tocca quotidianamente vedere – nell’Italia della fatwa contro Berlusconi – un buonismo diffuso nei confronti dei No Tav. In fondo, dice qualcuno, sono dei ragazzi giovani che combattono per degli ideali, almeno loro ne hanno mantenuto qualcuno nella generale perdita di valori della società occidentale. È, esattamente, lo stesso ragionamento che si sentiva ai tempi delle Br quando si parlava, incessantemente, di «compagni che sbagliano» ma che, se non altro, combattevano contro uno stato para-fascista (cosa avesse di fascista l’ingovernabile Italia primorepubblicana lo sapevano soltanto loro). Le stesse Br residuati bellici della storia che, di recente, hanno minacciato il senatore democratico Stefano Esposito, da sempre difensore dell’alta velocità. Lungi da noi dire che tutto il movimento No Tav sia violento, così come non lo erano – negli anni ’70 – tutti gli aderenti a movimenti di estrema sinistra. Quello che conta è la capacità di chi accetta la dialettica politica di isolare, condannare e stigmatizzare chi compie azioni non democratiche: cosa che, finora, è avvenuta in maniera nulla o insufficiente all’interno del movimento degli oppositori della Tav. Bisognerebbe, invece, avere il coraggio di dire: «Quelli non sono dei nostri, non ci rappresentano». 
E invece no, spesso si preferisce difenderli anche nelle loro follie più astruse. Basti leggere quanto riporta il commento del blog Maverick a seguito degli scontri del 20 luglio: «i soliti finti “feriti” tra le forze dell’ordine che, vista la cronaca dei fatti, non possono certo essere stati colpiti dai dimostranti, tutt’al più si sono incespicati nel bosco e useranno le prognosi per attribuire lesioni ai fermati». Eh già i poliziotti si sono fatti male da soli e Jfk si è suicidato. Eppure raramente (leggi mai) abbiamo sentito una parola contro queste follie. Anzi il 23 luglio c’è stata pure una fiaccolata in sostegno dei violenti. Quella che sto per scrivere non è sempre una bella frase (la delazione è spesso poco liberale), ma questo è uno di quei casi in cui è bene dirla: «chi non denuncia è complice».
di Matteo Borghi (L'Intraprendente)